lunedì 28 dicembre 2015

Lunedì: in trincea

Lunedì.
Stavo per scrivere le solite banalità di rito sul lunedì. Tutte vere: è una giornata difficile, invece di cominciare la settimana riposate, siamo più stanche del sabato, etc...
Ho cancellato tutto: sono proprio banalità, e neppure tutte vere. Il lunedì è una giornata esattamente come le altre: ha solo il difetto di avere tutta la settimana davanti. E, certe volte, questo sembra una montagna troppo impervia da superare. Poi arrivi al sabato e ti dai della stupida per tutta quell'ansia sprecata: potevi agitarti per cose molto più importanti, in qualche maniera ce la facciamo sempre.
Uno dei problemi peggiori che mi ha regalato la maturità (oggi sono ottimista: in un altro momento l'avrei chiamata vecchiaia) e di cui avrei fatto volentieri a meno è proprio questo: affronto tutto con uno stato di apprensione continua che ha il suo apice nelle prime ore del mattino. Mi sveglio verso le cinque con il pensiero che mi aspetti una giornata campale, piena di incombenze che assomigliano più a prove di forza che non a banale routine quotidiana. Ingaggio una lotta inutile e perversa con i miei fantasmi per quasi un'ora, mi alzo e nel tempo del primo caffè del mattino il mondo torna a risplendere come le prime luci dell'alba che irrompono inevitabili dalle finestre della cucina.
La cosa curiosa è che se non ho particolari motivi di preoccupazione, mi preoccupo di non averne; e già mi immagino un mondo che non mi opprime più, che non mi chiede più niente, che mi ha dimenticata perché sono diventata inutile.
"Senectus ipsa morbus": mio padre lo ripeteva sempre, ma anche in questo caso si deve essere onesti, l'età peggiora solo i difetti già esistenti, e io ansiosa lo sono sempre stata. Inutile nascondersi dietro un dito e inutile mentire. Tanto vale prendere atto della realtà e riderci sopra. Per fortuna, mi viene spesso da ridere: forse ho ancora un po' di speranza.
Alla fine è stato un buon lunedì: abbiamo fatto un terzo di quello che dovevamo fare, siamo indietro su almeno cinque lavori che dobbiamo ultimare per fine anno, c'è un sacco di nebbia, ma non è stata una cattiva giornata. Ho sempre il resto della settimana per disperarmi.

domenica 27 dicembre 2015

Andare o restare, ma dove?

Ieri ho letto un post su fb in cui una collega da trent'anni in farmacia lamentava le difficoltà di affrontare un ambiente di lavoro divenuto ostile e non più stimolante.
Mi sono venute in mente un sacco di cose: quando, giovane titolare, del tutto inesperta, sprovveduta ed ingenua, per affrontare la giornata lavorativa dovevo prendere fiato, cinque minuti, in bagno , per farmi coraggio e dominare il panico. Dell'ansia di chiedermi continuamente che lavoro volevo fare, che farmacista volevo essere, dove volevo andare, chi potevo e volevo portare con me.
Me lo chiedo ancora, tutti i giorni e cambio idea circa trecentosettantadue volte al giorno.
 E mentre discuto con me stessa, mi arrabbio e litigo sempre tra me e me, rispondo a decine di domande, di persona o per telefono, incoraggio, chiarisco, spiego, stimolo, sostengo la mia squadra, come se fossi depositaria di ogni certezza, in un balletto schizofrenico che mi lascia spesso sfinita.
Sono stata educata al senso del dovere e della responsabilità: non mi sottrarrei mai al mio ruolo, l'ho voluto e me ne faccio carico interamente, ma non so se si percepisce la fatica e l'impegno che mi costa. Giuro che, certe volte, vorrei fuggire lontano o nascondermi in un angolo buio o abbandonarmi ad una crisi isterica, piangere urlare e dare di matto, ma di matto sul serio, con tanto di scena istrionica drammatica e teatrale. Mi immagino come certi personaggi da film di serie B, mi viene da ridere e mi passa. Quasi sempre.
Quando qualcosa funziona mi sembra sempre un miracolo: tendo a dimenticarmi gli sforzi fatti, i tentativi falliti, la determinazione, per non dire caparbietà, con la quale mi muovo. Mi sembra un miracolo e basta, e io mi sento sempre un po' miracolata, e come tutti i miracolati non sono sicura di meritarmi quanto ottengo, temo sempre di perdere tutto da un momento all'altro. Mi pervade una sorta di fatalismo e vagheggio di lasciarmi trascinare dalla corrente del destino.
Poi mi viene in mente che da me dipende il futuro di una piccola azienda e di nove persone e non posso cedere, non le posso abbandonare, non le posso deludere. Hanno bisogno di me e io di loro: non sono ancora sicura di dove stiamo andando, ma ci dobbiamo andare insieme. E che la fortuna ci assista.

sabato 26 dicembre 2015

Finalmente mi sono decisa

Oggi mi sono decisa.
I blog (versione contemporanea dei vecchi diari) non mi hanno mai convinta del tutto. Ho sempre pensato che o sono l'opera di un grande scrittore, e allora sono una grande opera a prescindere, o sono solo un'attrazione per pettegoli e curiosoni.
Poi mi sono risposta (questi dialoghi nella mia testa avvengono spesso: in genere sono molto animati e articolati): se sono sciocchi o non interessano, basta non leggerli. Se sono considerati irritanti o fastidiosi, si può sempre ignorarli.
Poi mi è venuto in mente mio padre: seguiva tutte le trasmissioni di cucina possibili e immaginabili, e passava tutto il tempo a criticarle e a contestarle. E come ci si arrabbiava: era il più grande esperto di teoria culinaria e chimica bromatologica che abbia mai conosciuto (a dire il vero era un grande esperto di un'infinità di cose ed una persona con una cultura profonda e vastissima) per cui aveva da ridire più o meno su tutto e, quasi sempre, con argomenti validissimi. Ma non aveva un'adeguata manualità, per cui, sospetto, che tanta veemenza, in fondo in fondo, nascondesse una piccola invidia per una qualità che a lui mancava. Morale: se vuoi continuare a leggere qualcosa che non ti piace, forse, alla fine, un po' ti interessa. O almeno spero. O, magari, convogli le tue energie negative dove non puoi fare grandi danni. Anche questo è un risultato.
E se finisco le idee e non so più cosa scrivere? E se mi scappa uno strafalcione, una sgrammaticatura, una ripetizione, un pensiero confuso? E se, e se,e se........Odio scrivere, mi costa uno sforzo enorme; mi piace parlare con le persone, è uno sforzo che vale la pena di fare....
Basta: ci provo. Voglio parlare del mio mondo, del mio lavoro: quasi tutte le professioni hanno un loro visibilità, medici, infermieri ed avvocati impazzano in tutti i canali televisivi. Perfino le commesse dei grandi magazzini hanno avuto il loro momento di gloria.
Adesso parliamo di farmacisti (anzi, di farmaciste) e di farmacie: del microcosmo al di qua del bancone, della guerra quotidiana per cercare di svolgere con dignità una professione bellissima, controversa e sconosciuta