domenica 25 settembre 2016

Piazza virtuale

Una delle cose che detesto di più è andare dalla parrucchiera.
Non è per le ragazze del negozio che sono tutte molto carine e gentili. Anzi, spesso e volentieri faccio fare loro tardi: mi dispiace moltissimo, cerco di essere il più veloce e rapida possibile, ma mi prendo sempre all'ultimo nanosecondo.
Quello che mi disturba e trovo insopportabile è stare due ore seduta e ferma mentre avrei altre mille cose da fare più utili e interessanti. Ma tant'è: ho chiesto ai miei figli se fosse arrivata finalmente l'ora di arrendersi alla vecchiaia con una bella crocchia dalle mille sfumature di grigio che non avrebbe richiesto né cure particolari né il frequente intervento di mani esperte. Mia figlia, pragmatica e pratica come sempre, ha liquidato l'argomento con un "sei proprio sicura?". Mio figlio, sarcastico:"ottimo, così se ci fosse ancora qualcuno che possa nutrire  qualche illusione sul fatto che non sei la più sciroccata rompiscatole del pianeta, gli togli  subito qualunque dubbio con un aspetto a metà fra la strega Nocciola e la nonna di Cappuccetto Rosso".
D'accordo, mi arrendo: vado a farmi rendere presentabile. Più che altro,  mi ha terrorizzato il paragone con la nonna di Cappuccetto Rosso, strega ci può anche stare, ma una dolce vecchina in bilico fra candore e incoscienza proprio no.
Ne approfitto per una scorsa veloce alle riviste a disposizione delle clienti e fra un servizio di moda improbabile e un reportage sulle nuove tendenze di stagione (mi sembrano sempre le stesse cose, ma probabilmente sono io che sto diventando veramente troppo difficile e ipercritica) incoccio in un articolo dove si demonizza la diffusione dei vari social, portando ad esempio vari casi di abuso e conseguente alienazione di persone che ne fruivano.
Ho letto e riletto l'articolo più volte. Mi sono anche posta molte domande e le risposte che mi sono data mi hanno lasciato ancora più confusa.
Io uso molto i social. Mi piace parlare con le persone e non mi importa se non ci conosceremo mai di persona. Non mi sembra importate. Ci conosciamo lo stesso. In un modo un po' diverso, con tempi e modalità diverse, ma non meno coinvolgenti.
Ci siamo incontrati per caso, ispirati da qualche dettaglio postato fra tanti, una foto, una frase, un segno che ci ha fatto intuire di avere qualcosa in comune.
Con alcuni condividiamo un lavoro, un'idea di professione che oggi è cambiata e che ha bisogno anche di questi mezzi per esprimersi al meglio. È bello sapere che quando l'ansia e i dubbi ti soffocano puoi trovare qualcuno che ti capisce, a cui non devi spiegare per filo e per segno quello che ti succede, vive ogni giorno il tuo mondo e capisce. Una parola, un commento, io ci sono, se scappi su un'isola deserta vengo con te, aspettami.
Una volta, ad una riunione fra farmacisti, mi misi a discutere con una collega. Mentre parlavamo pensavo a quant'era in gamba e come mi piacesse quello che pensava e come lo diceva. Continuammo a parlare. Dopo due ore, per caso, capimmo che, in realtà, ci frequentavamo e ci stimavamo da tempo in una piazza virtuale.
Qualcuno si illude di apparire diverso da quello che è, di poter mascherare la sua vera natura, di nascondersi dietro l'immagine che preferisce. Si illude. Quello che sei prima o poi si vede, sei forse più nudo  che nel mondo reale, più esposto. Limiti e pregi trovano solo risonanza più ampia.
Il rito più bello? La vignetta o la frase che scelgo ed invio ogni mattina a coloro che mi chiedono un sorriso per iniziare la giornata, un gesto piccino con il quale ci ricordiamo di essere vivi, presenti, pronti a combattere ciascuno la propria battaglia, un pensiero leggero che ti lancia nel giorno che inizia. Ho scoperto che crea dipendenza: una volta tanto, mi sembra un effetto collaterale bellissimo.






























domenica 11 settembre 2016

Cambiano i tempi (parte seconda)

Capita sempre più spesso e tutte le volte è un trauma. Persone che conosci, volti familiari che da un momento all'altro diventano figure misteriose, dall'età contraddittoria e dalla collocazione spazio temporale indefinita.
Ce ne sono di giovani, troppo giovani, se fai un confronto veloce con il tuo codice fiscale.
Molto  egoisticamente cominci a chiederti se tu sarai graziato dalla sorte, se il destino sarà più benigno nei tuoi confronti, perché non sei proprio sicuro se avrai dei familiari così disponibili e  affettuosi da prendersi cura di te se l'Alzheimeir dovesse rapirti e portarti sul suo pianeta impenetrabile.
Sono proprio i familiari i veri eroi di queste situazioni impossibili: non più giovanissimi o con una loro famiglia sulle spalle, soli ad affrontare ogni giorno qualcosa che non capiscono e non si sanno spiegare. Smarriti in una lotta continua e silenziosa nel tentativo di creare una quotidianità normale e rassicurante, ma priva di ogni certezza. Confusi, disorientati, del tutto impreparati a fare i conti con una realtà che di reale ha sempre meno.
Cercano spiegazioni che non hanno avuto il coraggio di chiedere al medico, spaventati dall'inutile allegria di un reparto ospedaliero che di allegro e rassicurante non ha proprio niente. Nessuno è mai veramente pronto ad accettare un verdetto così incomprensibile: tuo padre è lì, davanti a te, lo vedi e lo tocchi, ma non è più lui, qualcosa è entrato nel suo corpo e ne ha fatto una persona diversa. Ci parli e magari ti risponde anche a tono, un secondo dopo la sua voce ti dice parole che sembrano uguali, ma che sono di un altro, di uno sconosciuto con l'aspetto di tuo padre.
Dalla nostra parte del banco la situazione non è affatto facile: nessuno ci prepara ad affrontare certe cose; quando ci laureiamo siamo pieni di informazioni e di belle speranze, ma non abbiamo  assolutamente idea di quello che ci aspetta e non sappiamo mai che cosa fare. Ci hanno parlato di farmaci e di terapie, ma davanti alle più banali delle domande (dottoressa, mi spieghi, che cos'ha mio padre? Guarirà? Come mi devo comportare con lui? È sicura che sia veramente malato, perché quando vuole capisce, capisce anche troppo bene, secondo me, mi prende in giro..) molto spesso riusciamo solo ad abbassare la testa cercando rifugio fra bollini e ricette.
Dove le trovi le parole giuste da dire, e poi chi ti dice che siano quelle giuste? 
Ci sono parole giuste e parole sbagliate?
Io sono una farmacista: non spetta a me. Io vendo medicine: hai la ricetta? Prendo la medicina, stacco  il fustello, due indicazioni generiche su come prenderla, pacchetto e via. Ho fatto il mio lavoro.
Chiedi al medico, allo specialista, all'infermiera, all'assistente sociale, ma non farmi certe domande, non sono io che ti devo rispondere.
Ma tu chiedi a me, insisti, hai bisogno di me, di una mia parola: mi conosci da sempre, con me trovi quel coraggio che ti ha abbandonato con altri.
Vieni, sediamoci e parliamo: raccontami tutto, con calma, non posso fare nulla di concreto per te, ma ti posso ascoltare. Non sono un'esperta, ma provo a spiegarti in modo semplice che cosa sta succedendo a tuo padre. Non è colpa sua e non è colpa tua, è una malattia crudele che te lo sta allontanando, un poco per volta, ogni giorno di più.
 Soffre? Non lo so, però  mi sembra che a suo modo sia sereno.
Capisce quando gli parlo? Non sempre, non ci contare, cerca di avere tanta pazienza, quando puoi assecondalo, mettiti tu al suo livello, non ti aspettare che sia lui a mettersi al tuo. Parlagli sempre con calma, ripeti più volte le stesse cose e non ti spazientire, se puoi, in questo momento potrebbe essere in un suo mondo in cui non lo puoi raggiungere.
È durissima, non ce la faccio più. Hai ragione, è durissima, è una delle cose più difficili che ci può capitare. Cerca di prenderti delle pause, chiedi aiuto a familiari e amici, non isolarti e non vergognarti, hai bisogno di tutto l'aiuto possibile, stai vivendo un'esperienza più grande di te. Non nascondere le tue difficoltà e non aver paura di parlarne.
Posso tornare qui se ho bisogno? Certo, quando vuoi, ti aspetto, così mi racconti come sta andando.
Emergo da questi colloqui svuotata, provata da un senso di impotenza e di frustrazione striscianti.
Mi sa che mi hanno imbrogliato: mi avevano assicurato che fare la farmacista fosse facile.
E pensare che da piccola volevo fare la parrucchiera: chissà se sono ancora in tempo per cambiare lavoro.
Se è troppo tardi, mi rimane sempre la famosa isola deserta